Sono passati 4 anni da quando ho aperto questo spazio e non è cambiato molto, purtroppo. Proprio di recente una nuova cliente mi ha detto per fortuna che ci sei perché online non si trova niente: il ciclismo viene considerato o comunque raccontato da un punto di vista maschile e, quasi sempre, finalizzato all’agonismo, sia professionale che amatoriale.

Ma il ciclismo è uno sport molto ampio con diverse tipologie di utenti e discipline.

Da un lato c’è sicuramente il mondo che conosciamo un po’ tuttə, rappresentato dal Giro d’Italia, come espressione massima di agonismo (e tutti i vari equivalenti, come il Tour de France e la Vuelta). Dall’altro il mondo della mountain bike, spesso in contrasto con il primo, perché si considerano i biker come non pedalatori, concentrati solo a buttarsi giù dai monti con la bici. Ci si dimentica che questi sport vengono praticati anche da donne. Non ho statistiche sotto mano e non ho idea delle differenze numerologiche, so per certo che molto spesso non ce ne sono da un punto di vista delle prestazioni.

Esistono diverse teorie e tanti studi su come le gare miste non siano eque, per questioni biologiche, e qui non entro nel merito. Quello da cui vorrei partire è, ad esempio, ricordare che il Giro Rosa, ossia il giro d’Italia al femminile, ha da tempo dovuto cambiare nome e che ancora oggi le donne nello sport non sono riconosciute come professioniste (mentre scrivo so che piano piano le cose stanno cambiando e iniziano ad essere emanate nuove leggi in merito, ma la strada è ancora lunga).

Primo grande ostacolo del perché nel ciclismo, e nello sport in generale, ci siano meno donne (non ho numeri alla mano e spero che esistano intere categorie che possano smentire questa affermazione) è che non siamo riconosciute e dopo un po’ ti stanchi di essere invisibile. Bisogna affidarsi ai pochi che decidono di fare da sponsor e investire su una squadra femminile e comunque rimane tutto un grande hobby, se vuoi farne il tuo lavoro come è concesso agli uomini, non puoi, sarai sempre limitata in partenza.

C’è un’altra questione che nessuno considera.

Il ciclismo non è solo agonismo, è anche cicloviaggio e ciclismo urbano, quest’ultimo poi non se lo fila proprio nessuno.

Se vuoi mollare la macchina o lo scooter a casa e iniziare a girare in bici, ti devi un po’ inventare, come è successo a me, perché a fare una ricerca online trovi poco e niente. Esattamente il motivo per cui ho aperto questo blog.
Finché si tratta di cicloviaggio tuttə trovano naturale l’esigenza di volersi informare, quando si tratta di ciclismo urbano il pensiero comune è ma che ci vuole. E nessunə riflette sulle esigenze peculiari di una donna rispetto ad un uomo: spesso i consigli sono generici, scritti da uomini pensando ad altri uomini, il che è normale visto che conoscono la loro realtà. Da donna non sopporto molto che un uomo mi dia consigli, non sapendo realmente cosa si prova in determinate circostanze. Ho un brutto carattere e, come amo scrivere solo per esperienza diretta, difficilmente accetto suggerimenti da chi non sa di cosa parla.

Se ci sono tutte queste donne che vanno in bici perché in così poche scrivono e condividono? È una domanda che mi sono fatta tante volte e mi sono data diverse risposte.

Innanzitutto, e questo vale per tuttə, uomini e donne, non siamo abituati alla condivisione, spesso viene vista come esibizionismo e men che meno siamo stati educatə all’ascoltare un’esperienza altrui senza necessariamente essere d’accordo o contro, cercando di coglierne l’essenza e ciò che più ci è utile. Va anche detto che non tuttə hanno voglia di scrivere o sono capaci (non che io sia un premio nobel, ma se si vuole fare bene come in tutte le cose un po’ si deve studiare), anche perché, spesso, non è un lavoro che porta direttamente ad un guadagno.

Insomma devi sentire di avere qualcosa da dire ed anche un po’ la voglia di cambiare il mondo intorno a te (sì sono un’idealista).

E poi c’è la questione più importante: esporsi è sempre difficile, il confronto con le altre persone e con gli uomini a volte può essere pesante. Io sono una ciclista urbana e una ciclomeccanica, e mentre sul primo argomento mi è capitato molto raramente di essere svilita, sul secondo Vi lascio immaginare.

Ma il ciclismo ha bisogno di più donne che vogliono condividere la loro esperienza quotidiana, consigliare chi comincia, raccontare come affrontare le mestruazioni in bici, piuttosto di come pedalare con i tacchi (su questo non sono di aiuto), ha bisogno di donne che raccontano ad altre donne chi se ne frega se l’amico il compagno il fratello hanno scalato lo Stelvio nella metà del tempo, che lei va bene così (e in realtà questo discorso va molto oltre i generi, ma l’affronto un’altra volta).

Quando ho iniziato a pedalare in città, ho impiegato parecchio prima di capire come mai avessi sempre la cistite, oppure come mai un giorno fossi al top e l’altro morta. Con tutto il rispetto e l’empatia del mondo, un uomo non può raccontare cosa voglia dire avere il ciclo mestruale e sentire gli ormoni che vanno su e giù per 28 giorni.

Smettiamo di cercare di adeguarci a standard che non sono stati pensati per noi e ricordiamoci che andiamo bene così. Condividiamo le nostre sfide e non temiamo di sembrare meno: non siamo inferiori a nessuno siamo semplicemente diverse, diverse dagli uomini e diverse tra di noi. Ricordiamoci che non esistono solo gare e viaggi, ma esiste una realtà quotidiana fatta di piccole grandi esperienze che non dovremmo affatto sottovalutare, perché viverci le nostre attuali città in sella non è impresa da poco.

L’argomento è complesso perché va inevitabilmente a toccare questioni più complesse come la parità di genere e di come la narrazione al maschile porti ad un certo tipo di maschilismo non sempre nascosto. Sono convinta che il ciclismo, e più in generale la bicicletta, abbiano bisogno di più donne che ne parlino come espressione di una trasformazione sociale che va ben oltre la sola mobilità sostenibile.


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